L’amaro dissetante della birra da dove viene?
Ormai non è un mistero che il fresco amaricante della birra e molti dei suoi profumi derivino dal luppolo, ma scopriamo qualcosa di più su questa pianta tanto cara ai birrai!
Il luppolo è una pianta rampicante che può raggiungere i 7 metri d’altezza, è dioica ovvero ha una distinzione tra piante maschili e femminili e cresce spontanea in tutte le regioni a clima temperato dell’emisfero boreale.
È impiegata sin dall’antichità in erboristeria e medicina tradizionale per le sue proprietà digestive, toniche, battericide e sedative (non a caso è della famiglia botanica delle Cannabacee).
Queste peculiari caratteristiche attirarono l’attenzione dei frati benedettini che nel 822 in Picardia, lo iniziarono ad utilizzare come aroma amaricante per attenuare la dolcezza stucchevole del fermentato di cereali ma che scoprirono con piacere che oltre a donare profumo ed equilibrio alla birra ne aumentava anche la durabilità.
Nel XII secolo Ildegarda di Bingen, badessa benedettina, riportò le virtù antisettiche e conservative delle infiorescenze di luppolo nel trattato di scienze naturali “Physica”. La popolarità di questa pianta crebbe al punto di diventare legge, quando nel 1516 Guglielmo IV di Baviera promulgo il “Decreto di Purezza” che regolava la produzione e commercializzazione della birra.
Il decreto all’avanguardia imponeva l’utilizzo dei 4 principali ingredienti della birra: acqua, malto rigorosamente d’orzo (e non di altri cereali per ovviare le carestie), luppolo e lievito. Così prese il sopravvento la birra amara aromatizzata al luppolo a discapito degli altri aromi.
L’Europa centrale era ormai soggiogata dall’Humulus lupulus ma il Regno Unito opponeva ancora resistenza: sin dal basso Medioevo i mercanti tedeschi e fiamminghi importavano in Gran Bretagna le loro bier amare, ma sotto la Corona Inglese persisteva la produzione della tradizionale ale, una birra aromatizzata con botaniche locali: erica, edera, ginepro, artemisia.
Da questa vicenda storica nasce il dualismo linguistico inglese per designare la stessa bevanda con sfumature di sapore: la beer da bier di gusto continentale, amara e luppolata contrapposta alla ale autoctona, dolce e rotonda.
Nel XVIII secolo il nazionalismo venne meno al pragmatismo, quando anche gli inglesi si accorsero che il luppolo come conservante era perfetto per i lunghi viaggi in mare che dovevano affrontare per raggiungere le colonie; nacque così uno degli stili più amati di sempre le IPA (Indian Pale Ale).
Il merito del successo e della diffusione delle IPA non va però agli inglesi, che si limitarono a diffonderlo in India tra i propri coloni, ma ai “cugini” americani che molti secoli dopo (siamo già alla fine del XX) intuirono le possibilità del mercato e svilupparono un’approfondita ricerca intorno alla coltivazione del luppolo per le birre artigianali.
Di luppolo non ce n’è uno solo, anzi: numerosi sono i gradi di amarezza che può rilasciare nella birra e infiniti sono gli aromi che sprigionano le diverse varietà.
La parte della pianta impegnata nella produzione della birra è l’infiorescenza femminile: un piccolo fiore verde a forma di “pigna” che racchiude ghiandole resinose alla sommità di ogni petalo.
Il termine tecnico per definire questi fiori è coni, essi si formano in grappoli e vanno raccolti non fecondati per preservarne le caratteristiche peculiari.
I composti principali dei coni di luppolo sono quattro: proteine, resine (alfa e beta acidi), polifenoli e oli essenziali.
Due dei quali sono di fondamentale interesse per la produzione brassicola, gli alfa acidi responsabili dell’amaro e gli oli essenziali espressione degli aromi.
Gli alfa acidi per rilasciare amaro nella birra devono essere isomerizzati, ovvero cambiare forma per diventare disponibili e ciò avviene tramite il calore, per questo vengono inseriti nella bollitura del mosto di birra in diverse “gittate” in base allo stile e al risultato che si vuole ottenere.
I profumi invece sono più fragili essendo composti volatili vanno estratti con un mezzo come l’alcool ma bisogna fare attenzione alle temperature per non rovinarli o farli evaporare.
Per questo sono nate tecniche come il dry hopping che implicano l’inserimento di coni di luppolo durante o alla fine della fermentazione.
Prima della “Craft Revolution” iniziata dagli americani negli anni ’80, si valutavano i luppoli principalmente in base al tenore di alfa acidi; tuttora ne è riportato il contenuto sulle confezioni di
vendita.
Ultimamente però si stanno iniziando a valutare molto gli oli essenziali presenti nella pianta per il valore assunto dagli aromi nella definizione di nuovi stili di birra artigianale.
Il luppolo ha conquistato anche te?
Facci sapere qual è la tua birra preferita!